Storia dell'amministrazione
I ministri dell'istruzione
In questa sezione vengono presentati alcuni tra i più noti Ministri dell'Istruzione della scuola italiana. Nel Salone dei Ministri del Palazzo dell'Istruzione, in viale Trastevere, sono raccolti i loro ritratti dal 1861 al 1930. Da questi dipinti sono tratte le immagini che affiancano i testi. Francesco de Sanctis è tradizionalmente indicato quale primo Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia, che venne fondato il 17 marzo, quando era ancora Ministro Terenzio Mamiani della Rovere, autore dei Programmi scolastici che integravano la Legge Casati. Mamiani rimase in carica per pochi giorni, fino a quando, il 22 marzo 1861, fu eletto il de Sanctis.
Ferdinando Martini fu ministro del governo Giolitti nel 1892. Giornalista e letterato, egli fondò importanti riviste, e tra queste "Il giornale dei Bambini" (1882) sul quale apparvero a puntate le "avventure di un burattino" (Pinocchio) di Carlo Collodi.
FERDINANDO MARTINI - TRA POLITICA E CULTURA NELLA STAGIONE POST-UNITARIA
Ferdinando Martini nacque a Firenze, quasi al crepuscolo della grande stagione granducale, nel luglio del 1841. E Firenze, la splendida città medicea, centro secolare di straordinari fermenti culturali ed artistici, rimase la sua patria dell'anima anche quando gli impegni della politica lo portarono lontano dall'amata Toscana. Prima a Roma, la nuova e definitiva capitale dell'Italia unita e, più tardi, in Eritrea, l'ultima sponda dell'avventura coloniale italiana oltre i confini della madre patria. Apparteneva ad una famiglia borghese di agiate condizioni economiche ed ottime relazioni sociali , che costituì la naturale base di partenza per il suo futuro cammino politico e non solo nell'ambito della più autentica tradizione liberale dell'ottocento. Seguendo le orme del padre Vincenzo, alto esponente della burocrazia granducale con velleità culturali ed artistiche si accostò giovanissimo al teatro, istituzione principe per l'approccio alla dimensione creativa dagli esiti immediatamente riscuotibili.Il teatro fu per lui una passione sincera e costante, coltivata nel corso degli anni in mezzo agli altri impegni di natura politica, culturale e sociale. La prima opera "L'uomo propone e la donna dispone" è del 1862 ed inaugura la serie dei proverbi drammatici , genere allora molto in voga e a cui Martini conferì una particolare nota di scioltezza e briositaà, tanto nell'intreccio a sostegno dell'assunto quanto nella resa dialogica e comunicativa. Fra le altre opere più riuscite va ricordato il "proverbio" "Chi sa il gioco non lo insegni" (1871) e "Il peggio passo è quello dell'uscio" (1873). Si cimentò anche nel dramma di sfondo borghese con la rappresentazione delle situazioni tipiche della coppia alle prese con l'avventura e il dramma del tradimento "La vipera" (1895).Nel 1876 dopo burrascose vicende determinate da brogli elettorali, per le quali era stata annullata la sua elezione nel collegio di Pescia, entrò finalmente alla Camera nel gruppo dei liberali di sinistra, iniziando una carriera parlamentare che sarebbe durata oltre quarantatre anni consecutivi. Nel corso di questa attività istituzionale ebbe a ricoprire numerosi e prestigiosi incarichi: Ministro della Pubblica Istruzione nel 1892, Governatore dell'Eritrea nel 1897, Ministro delle Colonie nel 1916. Quasi complementare all'attività politica fu quella, a lui particolarmente congeniale, di critico, giornalista e promotore culturale al più elevato livello.Nel 1879 fondò, infatti, "IL FANFULLA DELLA DOMENICA" , prima rivista letteraria nazionale di spiriti ed intenti moderni, alla quale chiamò a collaborare i più prestigiosi nomi dell'epoca o quanti comunque si stavano affermando sulla scena letteraria nazionale: Carducci, Verga, Capuana, Deledda, D'Annunzio ,ecc.. Seguì la "LA DOMENICA LETTERARIA" (1881) e , subito dopo, "IL GIORNALE DEI BAMBINI" (1882) sul quale apparvero a puntate le "avventure di un burattino" (Pinocchio) continuamente sollecitate da Martini in qualità di direttore del periodico nonchè grande amico di Carlo Collodi.A proposito delle vicende editorali del famoso burattino à da ricordare che Martini facendosi interprete delle proteste dei bambini che non si rassegnavano a veder scomparire il loro idolo (Collodi aveva fatto morire Pinocchio impiccato all'albero della quercia grande) usò tutta la sua autorevolezza per convincere Collodi a continuare la storia , restituendo Pinocchio al mondo dei suoi fans.Complementare alla sua attività di promotore culturale attraverso la fondazione e , a volte la direzione delle riviste fondate, fu quella di cultore della storia e della letteratura, dalle quali attinse abbondante materia per articoli, interventi ed elzeviri pubblicati sulle più diverse testate del tempo.Svolse questa attività con mano leggera , senza uno scavo profondo dei personaggi o delle vicende storico letterarie, mostrando una particolare predilezione per le curiosità, gli aneddoti , gli episodi inediti o divertenti.La ricca serie dei suoi scritti fu riunita nelle raccolte dal titolo, tutto sommato significativo ed appropriato di: "DI PALO IN FRASCA" e " TRA UN SIGARO E L"ALTRO".Si cimentò altresì nella narrativa, secondo la tradizione della novellistica toscana, con prove di discreta perizia tecnica, ma non di eccezionale valore letterario ed artistico , come nel lungo racconto "A PERIPOSA" da lui stesso definito "novella all'antica". Le sue prove migliori, quelle per le quali il suo nome spicca tra i protagonisti della seconda metà dell'ottocento e degli inizi del novecento, sono comunque da rintracciare nella ricca produzione di memorialista, con particolare riguardo ai ricordi legati alla terra africana nonchè alla vita politica e istituzionale dell'ottocento italiano. Egli si pose nel solco dei grandi memorialisti dell'ottocento, che vissero da protagonisti o testimoni d'eccezione un'epoca, densa di eventi o prodromi fondamentali per le sorti della nazione italiana e del suo destino unitario. Idealmente insieme a Pellico, Nievo, D'Azeglio , Settembrini, De Sanctis, ecc. che vollero testimoniare la storia alla luce delle proprie esperienze e vicissitudini personali, Martini offrì un interessante spaccato storico sociale dell'epoca presentato ai lettori con rara limpidezza di rappresentazione e di scrittura ."NELL'AFFRICA ITALIANA", "CONFESSIONI E RICORDI", "DIARIO ERITREO" : sono tutte opere che immettono plasticamente nella temperie culturale e sociale del tempo, nell'Italia provinciale, arretrata e praticamente analfabeta che tentava di superare le piccole storie separate per affermarsi in un progetto di unificazione politica, cultuale e civile. Questo progetto era il mito di una Nazione all'alte4zza delle altre potenze presenti sulla scena europea. Una Nazione che sapesse conquistarsi, come gli altri Paesi, un posto al sole nel vicino continente africano, per poter disporre di possedimenti, nei quali avviareâ in qualche modoâ una politica di modernizzazione e civilizzazione all'ombra del tricolore. Martini si rendeva conto, comunque, che la politica coloniale, al di là dell'aspetto eroico ed enfatico che ne contrassegnava l'identità nell'immaginario collettivo, nascondeva insidie e nequizie connesse allo sfruttamento o alla brutale sottomissione delle popolazioni indigene.Ma la carità di Patria o il senso dell'onore nazionale e la necessità, politica ed economica, di essere presenti oltre i confini geografici dell'Italia facevano passare in secondo piano le remore etiche e umanitarie, rimuovendo , quanto meno nel dichiarato, quelle che Martini chiamò "le disoneste necessità dell'avventura coloniale". Egli conobbe a fondo questa realtà, sia durante la lunga esperienza di governatore dell'Eritrea, sia come Ministro delle Colonie negli anni che praticamente coincisero con quelli del primo conflitto mondiale. Conflitto che egli ritenne doveroso ed inevitabile, tanto da essere, assieme al Presidente del Consiglio Salandra uno dei più autorevoli e convinti sostenitori dell'entrata in guerra dell'Italia contro l'impero asburgico. L'intervento italiano non rappresentava per Martini un atto di megalomania politica, ma, semmai il frutto sofferto della convinzione di dover completare il disegno unitario del Risorgimento, con la ricongiunzione all'Italia di Trento e Trieste, simboli vivi di un'italianità siglata con il sangue. Anche di questo conflitto dalle immani tragiche dimensioni, Martini volle rendere testimonianza con un libro, oggi in verità completamente caduto nell'oblio, ma che sarebbe opportuno rileggere con particolare attenzione: "IL DIARIO STORICO " (1914-1918). Opera quest'ultima di forse non elevato pregio letterario ma di profondo valore storico e documentale, tanto nell'analisi degli accadimenti politico-militari quanto nella descrittiva di specifiche vicende belliche o delle gravi responsabilità delle gerarchie militari.